oggi è un anno che hai lasciato il pianeta





Una scazzottata intergenerazionale
Mio marito era il ritratto di suo padre: non li si distingueva, guardando le loro foto alla stessa età, se non per il bianco e nero e la foggia dell’abbigliamento; entrambi nati e cresciuti in quella Via.
Fino a pochi decenni fa, i milanesi tendevano a restare abbarbicati per un’intera vita nella stessa via e i figli che si sposavano cercavano casa nel rione dei genitori; le generazioni si inseguivano come grani di un rosario uniti dalla stessa catena e i ragazzini rinnovavano l’amicizia – o l’inimicizia – dei padri.
“Serena, questa notte te ne vai a casa…qui non “è aria”
“ma nemmeno per sogno Dario! Da qui non mi muove nessuno, là dietro quella porta, c’è Barbara che muore! Lo sai, vero?”
E’ notte fonda e l’ospedale pare deserto, almeno qui, in questo lungo corridoio che finisce davanti ad una grande porta a vetri, dietro la quale c’è il reparto di rianimazione. Ve l’abbiamo portata quattro giorni fa, esanime. In ambulanza, ad un certo punto il paramedico chiede all’autista di mettere la sirena e di andare più in fretta possibile:
“accelera, e metti la sirena: la stiamo perdendo!”
Oggi il marito rientra per il pranzo, si toglie il giubbotto da moto mentre passano in TV le immagini della manifestazione degli studenti. Voce dal loggione (cioè LUI): “A LAVORAAAARE!”
IO: (sguardo eloquente): “EEEEHHHHHH????? Ti devo rispolverare la memoria? Chi è che mi piombava in casa con due occhi così per i lacrimogeni? LUI: “ehmmm ma io quando arrivavo? di pomeriggio…al mattino ero a scuola” . IO: “a scuooooolaaaaaa? seeeeee…come no! all’Einstein, il liceo più sovversivo del Paese: i figli dell’occupazione… le assemblee, il movimento studentesco…e il preside piu’ bastardo della città che chiamava ogni momento la pula… come quella volta che gli studenti si fregarono le chiavi dei cellulari: il giorno dopo, foto sul giornale degli agenti che rientrano in caserma spingendoli…A lavorare eh? Ma stai zitto, abbi un briciolo di decenza…”.
Sorrisetto a metà tra beffardo e compiaciuto del marito. Un amico, uno di quei giovani d’oggi, si scompiscia dalle risate: “voi due oggi mi fate morire”.
Già. Per un attimo siamo tornati ad essere quei liceali. Gli anni di piombo: un incubo, ma erano anche gli anni delle contestazione, della rivoluzione culturale, c’era un gran fermento di idee, di vita, di ideali. Pensavamo di poter cambiare il mondo… poveri idioti? Io non mi sento né idiota né sconfitta: ci siamo in parte riusciti, ma quelli di oggi che ne sanno di com’era prima? Che ne sanno di come eravamo…
(rammenta, lieto, il tempo che fu nostro…)
Sei entrato nella mia vita in un mese di dicembre e nel dicembre di 48 anni dopo ne sei uscito all’improvviso. Rapito dalla nera signora con la falce.
Era un appuntamento karmico, questo è sicuro.
Oggi è il mesiversario, il settimo.
Ci fu un altro settimo mesiversario, 47 anni fa.
Fu a Cervo, un romantico borgo ligure, che mi chiedesti di sposarti; eravamo poco più che adolescenti. Ricordo com’ero vestita: in macramé bianco, come l’abito da sposa che indossai cinque anni più tardi. Poi partimmo per una vacanza di studio a Londra; i miei genitori ci accompagnarono all’aeroporto, eravamo vestiti uguali: jeans e giubbetto di jeans scoloriti e mocassini college con la monetina da un penny infilata nella mascherina, come imponeva la moda di allora; la mamma disse che vedendoci allontanare mano nella mano sembravamo la réclame del Collegio Tumminelli. Papà non era molto tranquillo: quel vecchio aereo del volo charter bianco e viola (viola! Nell’ambiente dello spettacolo porta male!) sembrava stare insieme con lo sputo. Il primo volo per entrambi: ricordo la mia trepidazione per l’imminente avventura… da allora detesto volare. Turbolenze durante tutto il viaggio, hostess dall’aria tesa e un atterraggio da vignetta umoristica: a balzelloni.
IL VALZER…..
ZUM…PA…PA….ZUM…PA…PA……ZUM…..PA..PA…
(musica )
………………. un brindisi!!!!!!!!!!!!!!………………
(coro )
…………… l’estro non m’arride……………
( alfredo )
………………………..e non sei tu maestro…………..
( coro )
………………………..vi fia grato…………..
( alfredo a violetta )
………. si….……….
( risponde violetta)
…………………………..l’ho gia’ in cor…………………..
( alfredo)
Zum..pa…pa….zum…pa..pa…..libiaaaamo libiamo nei lieti calici………………………………………………
“ Ferma..ferma Barbara!.”
E la musica si ferma , mentre Dario, sconsolato, si lascia andare in una poltroncina.
Siamo alla vigilia del matrimonio e mancano solo due giorni. C’è poco tempo!
Barbara alla sua festa di matrimonio vuole iniziare le danze ballando un Valzer con suo marito. Già… ma Dario non ha mai ballato il valzer….
Da un mesetto le amiche di mamma le chiedono: “e allora, sposina! Ci siamo quasi eh? Come ti senti?”. Lei a qualcuna lo dice, ad altre no (si limita a pensarlo): “sto progettando la fuga in Papuasia, a raddrizzare banane” …è una frase mutuata dal fidanzato, non ne sospetta il vero significato…anni dopo riderà della sua ingenuità, ricordandola.
La notte precedente al grande passo, sua madre le sussurra: “sei proprio sicura, vero? Guarda che se anche all’ultimo istante ci ripensi, non devi far altro che eclissarti: agli invitati ci penso io”.
Sicura? Non lo sa più nemmeno lei, adesso. 21 anni forse sono pochi per una così grande responsabilità.
IL CEPPO SACRIFICALE – LA PIEVE DI THO’
“Fermati! ho visto un cartello”
“Ma quale cartello…la strada la conosco…torniamo sulla via Emilia”
“Ferma ti dico! c’era scritto “la pieve di Tho’! Andiamoci!”
“E va bene…non sei ancora stanca?”
Dario torna un poco indietro, finché alla fine scorge il famoso cartello, semi nascosto dalla grande siepe impolverata.
Da fidanzati avevamo preso in affitto una casetta a Zambla Alta, nel bergamasco. Ci andavamo nei week end con gli amici: nel nostro appartamento c’erano due camere doppie e nella mansarda quattro, per una quindicina di posti letto: insomma un bel gruppetto.
Fu un bell’inverno…a parte i viaggi: allora nevicava sul serio e se non nevicava, c’era la nebbia padana, “el nebiùn”, fino ai piedi dei monti, e spesso uno di noi doveva scendere a cercare la striscia della corsia d’emergenza con la pila, perchè non ci si vedeva proprio! Quando non nevicava…
Questo post, nella giornata della festa del papà, è dedicato a mio suocero, anche da parte di suo figlio l’ha raggiunto il 23 dicembre e non può celebrarlo. Racconta un ricordo di papà Mino,
In via Mantova, intorno agli anni ’20, Milano era più piccola e piena di milanesi che “gh’avevan el coeur in man”. A quel tempo si poteva giocare in strada senza pericolo e in ogni via c’era una banda di ragazzini di ogni età, in competizione con le bandel delle altre vie, e al massimo combinavano qualche marachella, come questa che vi vado a raccontare.