A fine giugno partivo per il mare, ma fino all’adolescenza, alla chiusura della scuola andavo a stare un po’ dai nonni paterni, in campagna.
A quella casa sono legati molti ricordi di un’infanzia felice che a volte è rifugio nelle giornate amare.
Ogni domenica andavamo a pranzo dai nonni e la sera si tornava carichi di fiori, uova, verdurine fresche dell’orto e frutta.
I nonni si erano trasferiti quando avevo solo pochi mesi in una villetta al limitare di un paesino a venti chilometri dalla città; c’era un giardino pieno di fiori, davanti alla casa, sul retro invece un piccolo frutteto e un grande cortile, dove potevo scorrazzare con Tim, il mio amico a quattro zampe, correre sulla macchinetta rossa a pedali o andare sull’altalena. Ma io stavo sempre attaccata ai calzoni del nonno, che me le dava vinte tutte: papà, con una punta di invidia nella voce, gli diceva “guarda che nonno di legno dolce!”…era stato un padre molto severo, ma per me era un compagno di giochi fantastico. Ci divertivamo moltissimo, insieme; non riusciva proprio a lasciarmi a casa: io volevo accompagnarlo dappertutto e lui non si faceva pregare; persino a caccia mi portava, e ogni volta mi arrabbiavo perché non voleva insegnarmi ad usare il fucile.